
Abbazia di Santa Maria di Rivalta
Abbazie, Monasteri, Santuari
frazione Rivalta Scrivia15057
Tortona (AL)
Tel: +39 3458129721
La chiesa di Rivalta è quanto resta del complesso abbaziale dei monaci cistercensi, insediatisi in questa località nel 1180. L’edificio presenta una caratteristica architettura cistercense tra il romanico lombardo e il gotico francese. L’elemento importante è rappresentato dall’apparato di affreschi risalenti alla seconda metà del secolo XV, recuperati durante i restauri del 1941-42. A fianco dell’abbazia, alla metà del XVII, fu edificata un’imponente residenza nobiliare di cui si possono ammirare gli ampi loggiati. L'abbazia, la cui chiesa era parrocchia già nel 1576, viene soppressa con decreto napoleonico nel 1810
Chi, oggi visita quanto resta dell’Abbazia di Rivalta Scrivia non può, facilmente, valutarne tutta l’importanza storica: né, d’altra parte, può comprendere tutta l’influenza economica che la stessa esercitò, soprattutto nei secoli XII e XIII, su tutta la regione che si stende tra Tortona e Novi. Il territorio di Rivalta era, nel secolo XI, densamente coperto di foreste: l’agricoltura, malgrado la vicinanza dello Scrivia, che forniva copiose acque, era poco sviluppata e rarissimi erano, nella zona, i nuclei abitati. Un munito castello difendeva la zona; nelle sue vicinanze, c’era una chiesa dedicata a San Giovanni: Castello e Chiesa dovevano fornire i mezzi al sorgere dell’Abbazia.
L’origine di un nucleo monastico a Rivalta Scrivia si fa risalire ad una donazione del 22 agosto 1150 e ad un certo Ascherio,
forse della famiglia degli Ascheri di Castelnuovo Scrivia, lì stabilitosi dopo esser stato, a partire dal 1137, priore del monastero di Santa Giustina di Sezzè, di dove si era allontanato in cerca di un luogo più rispondente ai suoi ideali, dato che il monastero sezzadiese non offriva né sicurezza per quel che riguardava l’asilo né tranquillità per quel che riguardava la vita monastica. Intorno al castello egli possedeva già alcuni beni e, poiché era di famiglia distinta e danarosa, riuscì in un breve spazio di tempo ad allargare notevolmente l’estensione dei possedimenti del monastero.
Lo sviluppo, che aveva assunto l’organismo monastico e le difficoltà proprie di quei tempi, convinsero il potente abate che era necessario aggregare il monastero ad un Ordine, onde meglio assicurarne la assistenza religiosa e sociale; iniziò quindi trattative con l’abate Folco di Lucedio e nel 1180 la comunità di Rivalta fu unita all’ordine cistercense e divenne dipendente dalla Badia di Citeaux.
L’unione coi cistercensi portò ad una ristrutturazione della comunità monastica rivaltese; stabiliti e regolati i rapporti col Vescovo e col Capitolo di Tortona, l’abate Folco trasformò il monastero di Rivalta in Abbazia cistercense e ordinò che si procedesse alla nomina di un nuovo abate: questi fu Pietro, monaco di Lucedio. Il vecchio abate Ascherio, fondatore della Chiesa e del monastero, si ritirò al di là del Po in una località della Lomellina tra Frascarolo e Pieve del Cairo e quivi fondò altra Chiesa, che chiamò Acqualunga; morì a Rivalta, dove era tornato, nel dicembre del 1185. Alla sua morte la comunità monastica rivaltese, che egli aveva creato, disciplinato, beneficato, era ormai in piena efficienza e in notevole espansione.L’unità del monastero cistercense di Rivalta si è persa nelle trasformazioni dei suoi otto secoli di storia che hanno creato una scissione fra la chiesa, oggi parrocchia, e gli ambienti monastici passati in parte a proprietà privata. Il complesso fu costruito fra 1180 e metà XIII secolo.
La pianta e l’alzato della chiesa attuale, unitamente ancora alle parti conservate del monastero, ne confermano l’edificazione ex novo secondo i dettami della regola cistercense bernardina. La metodologia progettuale, basata sul modulo del quadrato in pianta come in alzato, ha organizzato, anche qui, intorno al quadrato del chiostro tanto la chiesa quanto gli spazi destinati alla vita comune (ala monaci, ala conversi, cucine e refettorio, ambienti di lavoro).
La chiesa ha una pianta a croce latina, scandita da tre navate di tre campate (in origine quattro) quella centrale e di sei (un tempo otto) quelle laterali; i sostegni forti e deboli alternati reggono volte a crociera costalanate nella navate centrale e nel transetto, a crociera semplice nelle navatelle; il coro, voltato a botte, è formato da un’abside a terminazione rettilinea affiancata su ogni lato da due cappelle a pianta rettangolare. Il braccio destro del transetto comunica con la sacrestia – unico ambiente che conserva il piano di calpestio originale – e mediante una scala a doppia rampa con il dormitorio dei monaci al piano superiore. L’aspetto utilitario dell’esterno è leggibile nella zona di coro e transetto dalle cornici che impostano le specchiature, chiuse da una decorazione ad archetti di tipo lombardo, e lungo il corpo longitudinale dal ritmo dei pilastri a muro che scandiscono la parete in corrispondenza dello spazio interno delle campane quadrate. Lo zoccolo in pietra e la muratura a esso cucita si interrompono poco oltre la sacrestia segnando la fine del primo lotto di lavori e l’inizio di un secondo, successivo, che comprende sala capitolare, vano con la scala d’accesso al dormitorio, parlatorio, passaggio ai campi e sala monaci. Questi ambienti – adibiti alla canonica – sono ancora perfettamente leggibili, mentre è andato completamente distrutto il chiostro e l’ala dei conversi passata a proprietà privata.
Alla seconda metà del XVI secolo dovrebbe risalire la ricostruzione del massiccio campanile che insiste all’incrocio dei bracci del transetto.
Dopo un lungo periodo di decadenza, caratterizzato da crisi spirituale ed economica che coinvolse il monastero a partire dal XIV secolo, l’Abbazia viene istituita in Commenda in modo definitivo nel 1478 per volontà di Sisto IV.
Il miglioramento delle condizioni economiche, cui mirava l’istituto della commenda, è testimoniato dal notevole corredo pittorico che vede anche l’intervento di Franceschino Boxilio. Il pittore castelnovese firma due opere, il San Cristoforo del quarto pilastro a destra (datato 1490) e le due scene con la Vergine, il Bambino e un monaco certosino con la sovrastante figura del Cristo Redentore. Gli affreschi risalgono a un arco di tempo abbastanza continuo e ristretto, condividendo stilisticamente una stessa corrente d’influenza lombarda. Se le scene della parete di fondo del presbiterio, che sono le opere più antiche insieme ad alcune immagini di santi nel primo pilastro a sinistra, risultano caratterizzate da forme ancora gotiche, dall’allungamento dei corpi, dal decorativismo dei troni e dalla rigida posizione frontale delle figure rappresentate, le altre figure presentano già un tentativo di complessità spaziale e un certo realismo tipici del linguaggio rinascimentale. Si tratta, comunque, di una pittura votiva e con forti caratterizzazioni popolari che predilige i Santi protettori di una comunità agricola e contadina (sono stati identificati ben 32 santi differenti, mentre altri due, un santo martire cistercense e un santo vescovo francescano, restano ancora senza un nome).
Nel 1538 l’abbazia passa alle dipendenze di San Nicolò del Boschetto di Genova. I beni patrimoniali del monastero sono acquisiti nel 1546 dal marchese Adamo Centurione e, dopo alcuni passaggi di proprietà, nel 1653, passano ad Agostino Arioli, il quale fa costruire il suo palazzo utilizzando una parte di monastero (l’ala dei conversi) e demolendo l’ultima campata della chiesa abbaziale che era addossata al palazzo.
L’abbazia, la cui chiesa era parrocchia già nel 1576, viene soppressa con decreto napoleonico nel 1810.
Chi, oggi visita quanto resta dell’Abbazia di Rivalta Scrivia non può, facilmente, valutarne tutta l’importanza storica: né, d’altra parte, può comprendere tutta l’influenza economica che la stessa esercitò, soprattutto nei secoli XII e XIII, su tutta la regione che si stende tra Tortona e Novi. Il territorio di Rivalta era, nel secolo XI, densamente coperto di foreste: l’agricoltura, malgrado la vicinanza dello Scrivia, che forniva copiose acque, era poco sviluppata e rarissimi erano, nella zona, i nuclei abitati. Un munito castello difendeva la zona; nelle sue vicinanze, c’era una chiesa dedicata a San Giovanni: Castello e Chiesa dovevano fornire i mezzi al sorgere dell’Abbazia.
L’origine di un nucleo monastico a Rivalta Scrivia si fa risalire ad una donazione del 22 agosto 1150 e ad un certo Ascherio,
forse della famiglia degli Ascheri di Castelnuovo Scrivia, lì stabilitosi dopo esser stato, a partire dal 1137, priore del monastero di Santa Giustina di Sezzè, di dove si era allontanato in cerca di un luogo più rispondente ai suoi ideali, dato che il monastero sezzadiese non offriva né sicurezza per quel che riguardava l’asilo né tranquillità per quel che riguardava la vita monastica. Intorno al castello egli possedeva già alcuni beni e, poiché era di famiglia distinta e danarosa, riuscì in un breve spazio di tempo ad allargare notevolmente l’estensione dei possedimenti del monastero.
Lo sviluppo, che aveva assunto l’organismo monastico e le difficoltà proprie di quei tempi, convinsero il potente abate che era necessario aggregare il monastero ad un Ordine, onde meglio assicurarne la assistenza religiosa e sociale; iniziò quindi trattative con l’abate Folco di Lucedio e nel 1180 la comunità di Rivalta fu unita all’ordine cistercense e divenne dipendente dalla Badia di Citeaux.
L’unione coi cistercensi portò ad una ristrutturazione della comunità monastica rivaltese; stabiliti e regolati i rapporti col Vescovo e col Capitolo di Tortona, l’abate Folco trasformò il monastero di Rivalta in Abbazia cistercense e ordinò che si procedesse alla nomina di un nuovo abate: questi fu Pietro, monaco di Lucedio. Il vecchio abate Ascherio, fondatore della Chiesa e del monastero, si ritirò al di là del Po in una località della Lomellina tra Frascarolo e Pieve del Cairo e quivi fondò altra Chiesa, che chiamò Acqualunga; morì a Rivalta, dove era tornato, nel dicembre del 1185. Alla sua morte la comunità monastica rivaltese, che egli aveva creato, disciplinato, beneficato, era ormai in piena efficienza e in notevole espansione.L’unità del monastero cistercense di Rivalta si è persa nelle trasformazioni dei suoi otto secoli di storia che hanno creato una scissione fra la chiesa, oggi parrocchia, e gli ambienti monastici passati in parte a proprietà privata. Il complesso fu costruito fra 1180 e metà XIII secolo.
La pianta e l’alzato della chiesa attuale, unitamente ancora alle parti conservate del monastero, ne confermano l’edificazione ex novo secondo i dettami della regola cistercense bernardina. La metodologia progettuale, basata sul modulo del quadrato in pianta come in alzato, ha organizzato, anche qui, intorno al quadrato del chiostro tanto la chiesa quanto gli spazi destinati alla vita comune (ala monaci, ala conversi, cucine e refettorio, ambienti di lavoro).
La chiesa ha una pianta a croce latina, scandita da tre navate di tre campate (in origine quattro) quella centrale e di sei (un tempo otto) quelle laterali; i sostegni forti e deboli alternati reggono volte a crociera costalanate nella navate centrale e nel transetto, a crociera semplice nelle navatelle; il coro, voltato a botte, è formato da un’abside a terminazione rettilinea affiancata su ogni lato da due cappelle a pianta rettangolare. Il braccio destro del transetto comunica con la sacrestia – unico ambiente che conserva il piano di calpestio originale – e mediante una scala a doppia rampa con il dormitorio dei monaci al piano superiore. L’aspetto utilitario dell’esterno è leggibile nella zona di coro e transetto dalle cornici che impostano le specchiature, chiuse da una decorazione ad archetti di tipo lombardo, e lungo il corpo longitudinale dal ritmo dei pilastri a muro che scandiscono la parete in corrispondenza dello spazio interno delle campane quadrate. Lo zoccolo in pietra e la muratura a esso cucita si interrompono poco oltre la sacrestia segnando la fine del primo lotto di lavori e l’inizio di un secondo, successivo, che comprende sala capitolare, vano con la scala d’accesso al dormitorio, parlatorio, passaggio ai campi e sala monaci. Questi ambienti – adibiti alla canonica – sono ancora perfettamente leggibili, mentre è andato completamente distrutto il chiostro e l’ala dei conversi passata a proprietà privata.
Alla seconda metà del XVI secolo dovrebbe risalire la ricostruzione del massiccio campanile che insiste all’incrocio dei bracci del transetto.
Dopo un lungo periodo di decadenza, caratterizzato da crisi spirituale ed economica che coinvolse il monastero a partire dal XIV secolo, l’Abbazia viene istituita in Commenda in modo definitivo nel 1478 per volontà di Sisto IV.
Il miglioramento delle condizioni economiche, cui mirava l’istituto della commenda, è testimoniato dal notevole corredo pittorico che vede anche l’intervento di Franceschino Boxilio. Il pittore castelnovese firma due opere, il San Cristoforo del quarto pilastro a destra (datato 1490) e le due scene con la Vergine, il Bambino e un monaco certosino con la sovrastante figura del Cristo Redentore. Gli affreschi risalgono a un arco di tempo abbastanza continuo e ristretto, condividendo stilisticamente una stessa corrente d’influenza lombarda. Se le scene della parete di fondo del presbiterio, che sono le opere più antiche insieme ad alcune immagini di santi nel primo pilastro a sinistra, risultano caratterizzate da forme ancora gotiche, dall’allungamento dei corpi, dal decorativismo dei troni e dalla rigida posizione frontale delle figure rappresentate, le altre figure presentano già un tentativo di complessità spaziale e un certo realismo tipici del linguaggio rinascimentale. Si tratta, comunque, di una pittura votiva e con forti caratterizzazioni popolari che predilige i Santi protettori di una comunità agricola e contadina (sono stati identificati ben 32 santi differenti, mentre altri due, un santo martire cistercense e un santo vescovo francescano, restano ancora senza un nome).
Nel 1538 l’abbazia passa alle dipendenze di San Nicolò del Boschetto di Genova. I beni patrimoniali del monastero sono acquisiti nel 1546 dal marchese Adamo Centurione e, dopo alcuni passaggi di proprietà, nel 1653, passano ad Agostino Arioli, il quale fa costruire il suo palazzo utilizzando una parte di monastero (l’ala dei conversi) e demolendo l’ultima campata della chiesa abbaziale che era addossata al palazzo.
L’abbazia, la cui chiesa era parrocchia già nel 1576, viene soppressa con decreto napoleonico nel 1810.